Piatta, bianca, dolce ed aromatica: la Cipolla di Fara Filiorum Petri è una particolare e riconosciuta varietà di cipolla. La sua coltivazione è documentata da antichi atti di donazione, divisione e vendita redatti tra il 1788 ed il 1837 dal notaio Gianfrancesco Pitetti che attestano la presenza dei “Cipollari”, ovvero i terreni in cui crescevano i preziosi ortaggi.
Ma storia di Fara e della sua cipolla è anche più antica. Secondo tradizione, nel 1300, i monaci del locale convento di Sant’Eufemia si dedicavano, nei loro orti, alla coltivazione di una peculiare cipolla, caratteristica per forma che per sapore.
È importante annotare che nei terreni argillosi caratteristici della zona, la cipolla bianca piatta ha trovato l’ambiente ideale per poter crescere e che la sua caratteristica forma schiacciata è, con ogni probabilità, legata alle modalità di irrigazione. Pare, infatti, che la cipolla abbia la particolare forma schiacciata a causa dell’elevata quantità di acqua di cui necessita, per cui, gli agricoltori, raccoglievano dell’acqua con una pala e la versavano sulle cipolle, in modo da non far mai mancare il giusto apporto idrico di cui avevano bisogno. La violenza del getto avrebbe causato l’appiattimento dell’ortaggio che, di conseguenza, si sarebbe poi sviluppato in larghezza.
La Cipolla bianca piatta di Fara Filiorum Petri, da sempre nota nella tradizione gastronomica come una prelibatezza della provincia di Chieti ed importante l’economia del paese, viene festeggiata ogni primo fine settimana di agosto nel cuore del centro storico del paese. E sono tante le attività rivolte a grandi e piccini che vengono proposte ai tanti curiosi e avventori, dai laboratori alla mostra
mercato, fino alla preparazione e degustazioni di piatti che celebrano il particolare ortaggio.
Detta anche piattona, per il suo sapore particolare può accompagnare fresche insalate o piatti a base di fegatini. Le cipolle di Fara Filiorum Petri, inoltre, possono essere l’ingrediente principale della cipollata un piatto tradizionale a base di cipolle, da poco raccolte, che, cotte per lungo tempo in un tegame di coccio, diventano morbide e dolci. Sono apprezzate anche arrostite sulla brace.
Approfondimenti
Nei paesi del Mediterraneo la cipolla è sempre stata un ortaggio largamente utilizzato, ne consegue che abbia sempre rivestito un ruolo economico importante.
Sviluppatasi probabilmente in Asia centrale, la cipolla coltivata mostra caratteristiche in comune con due specie selvatiche
proprie di quella zona.
Già attestata in Egitto nel 2500 a.C., la coltura di questo ortaggio si diffonde soprattutto nel periodo romano, quando si conoscevano diverse specie sia nazionali che d’importazione. Secondo Plinio, una delle cipolle più note era quella amiternina, ossia quella coltivata nei pressi di Amiternum (Aq).
A Columella, invece, piacevano le cipolle della Marsica, caratterizzate dalla presenza di un solo bulbo, per questo chiamate unio (da cui poi sarebbero derivati i termini onion e oignon). Anche nel Medioevo la pianta era coltivata in maniera piuttosto
capillare e oltre alla cipolla classica era noto anche lo scalogno.
Fino agli inizi del Novecento le aree abruzzesi vocate alla coltivazione erano: Paganica e Bagno nella provincia aquilana,
Cappelle sul Tavo in provincia di Pescara e Fara Filiorum Petri in provincia di Chieti.
Proprio a Fara, la coltivazione della cipolla veniva effettuata nei “cipollari”, terreni pianeggianti localizzati in prossimità del fiume (attività attestata da diversi documenti notarili del XIX secolo).
Ma Fara Filiorum Petri non è solo il paese della cipolla. È tradizione, infatti, festeggiare Santo Antonio Abate col rito particolare della costruzione delle “farchie”: enormi fiaccole di canne palustri che vengono bruciate durante la festa.
Leggenda vuole che il rito nasca da un miracolo attribuito a Sant’Antonio, apparso nelle vesti di un generale alle truppe francesi che, nel 1799, stavano tentando di conquistare anche Fara. In quel momento il bosco intorno al paese diventò un muro di fuoco. Per questo, ogni anno, gli uomini di tutte le contrade si riuniscono per comporre le “farchie”, che a gennaio, nei giorni di festa dedicati al Santo, vengono innalzate al cielo e arse. Alle donne spetta il compito di preparare il cibo tradizionale della festa, cipollate, pani di Sant’Antonio, e soprattutto dolci, crespelle e calzoncini ripieni di ceci e miele, marmellate e mandorle.